Capezzolo introflesso, ipertrofico e piatto: come curarli

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Capezzolo introflesso, ipertrofico e piatto: come curarli

Il capezzolo è una parte anatomica fondamentale nel seno perché definisce la funzionalità della ghiandola mammaria. L’allattamento non potrebbe avvenire senza di esso. Ricordiamo che ha anche una funzione estetica, infatti, con la sua forma determina anche l’aspetto del seno in generale. Gli inestetismi del capezzolo sono una fonte di disagio per le donne che ne soffrono, sia in ambito estetico che funzionale. Vi sono tre principali tipologie di anomalia del capezzolo: introflesso, ipertrofico e piatto e in ogni caso è possibile curarle con la chirurgia estetica.

 

Introflesso, ipertrofico e piatto: le tre anomalie principali

 

Pur avendone già parlato qui, il capezzolo introflesso ha un aspetto rientrante, appare ripiegato su se stesso, può essere causato da dotti galattofori troppo corti o retratti. In molti casi presenta un senso di fuoriuscita deviato verso destra o sinistra ed essendo completamente invertito, ostacola la fuoriuscita di secrezioni. Nelle condizioni meno gravi si parla di capezzolo piatto in quanto, attraverso la stimolazione mediante il freddo o l’attacco del neonato, si estroflette senza compromettere l’allattamento. Si parla, invece, di capezzolo ipertrofico quando il tessuto dei dotti galattofori si sviluppa in modo anomalo. In questo caso, l’aspetto può essere più allungato, prominente  o avere un diametro maggiore. Dal punto di vista funzionale, il capezzolo ipertrofico non provoca alcun disturbo ma può causare un disagio psicologico connesso all’estetica.

 

La mastoplastica correttiva per il capezzolo

 

Le modalità di intervento sono differenti, a seconda delle condizioni cliniche della paziente e dell’anomalia da trattare. Nel caso del capezzolo introflesso e piatto, si procede con un’incisione periareolare volta a liberare le aderenze dei dotti galattofori e a fermarlo all’esterno. Per l’ipertrofico la procedura è differente: si riduce la superficie con incisioni alla base e all’apice. In questo modo se ne preserva la sensibilità e la funzionalità. Le operazioni svolgono in anestesia totale e dopo 15-20 giorni è possibile tornare alla propria vita quotidiana.

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